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domenica 17 aprile 2016

L'equipaggiamento delle Truppe Coloniali










Moschetto Vetterli-Vitali mod. 1870/87
Come da regolamento per l'esercito Nazionale, l'esercito coloniale disponeva di giberne e bandoliere del tipo regolamentare del Regio Esercito: 

giberne Mod. 77, Mod. 91, Mod. 07, mentre per gli  Spahis giberne del modello 27, cartucciere Mod. 28 e bandoliere Mod. 97, in cuoio naturale.

La cavalleria era armata di lancia da cavalleria mod. 1860 con asta in frassino sostituita a bambù e sciabola d'ordinanza da cavalleria mod. 71.

Carabina austroungarica Stayr-Mannlicher
L'armamento per la truppa coloniale era di tecnologia precedente a quello delle truppe nazionali, ma risultava comunque molto efficace; nel 1939 le truppe coloniali potevano contare su pochi esemplari di Carcano mod. 91 (in dotazione quasi esclusivamente alla polizia coloniale); erano invece armati in gran parte di moschetti Vetterli mod. 1870 e Vetterli-Vitali 1870/87, integrati dov'era necessario con Steyr-Mannlicher di preda bellica austroungarica.
Revolver Camelot-Delevigne mod 1874
I graduati (Sciumbasci e Bulucbasci) ed i zaptiè possedevano, inoltre un revolver francese di tipo Camelot-Delevigne 1874, oppure l'italiano Bodeo mod. 1889 (molto più efficace).
Revolver Bodeo mod. 1889

Sia truppa che graduati, di ogni corpo dell'esercito possedevano una daga tradizionale (il Billao (daga) per la Somalia, lo shotel (spada) per Eritrea ed Etiopia e sciabola araba per la Libia), in sostituzione alla baionetta alla cintura.


mercoledì 13 aprile 2016

Le 5 cose che (forse) non sapevi sulle colonie italiane

Lo sbarco di ufficiali italiani in Somalia

1. A Mogadiscio esisteva la cattedrale cattolica più grande dell'Africa:
Venne progettata dall‘ing. Antonio Vandone Conte di Cortemiglia sul modello del duomo di Cefalù, fu la più grande cattedrale cattolica dell'Africa e l'unica in stile gotico-normanno.
Presentava una pianta a croce latina e interno era suddiviso in tre navate; inoltre presentava una facciata monumentale sovrastata da due campanili alti 37,50 purtroppo distrutti durante la guerra civile del 1991.

2.  Gli sbarchi in Somalia nei primi anni di colonizzazione erano assai difficoltosi a causa delle onde e del basso fondale che si stagliava per centinaia di metri; per rimediare a questo inconveniente gli ufficiali si facevano trasportare su delle comode poltrone fino alla terraferma da dei pescatori locali che venivano pagati profumatamente per prestare questo particolare servizio.

Faro Crispi (Capo Guerdafui, Somalia, 2013)
3.  Ancora oggi in Somalia a Capo Guardafui esiste un particolare faro con le sembianze di un fascio littorio: voluto dal governatore della Somalia De Vecchi, il "Faro Crispi" dopo numerose peripezie il progetto venne affidato all'ingegner Vittorio Croizat che lo finì di costruire nel 1924; nel 1930 per volere del Governo prese le sembianze di un grande fascio littorio.

4.  Asmara è la capitale dell'Eritrea, è famosa per essere considerata una città opera d'arte: infatti il centro storico di produzione coloniale italiana presenta tutte le caratteristiche della città fascista ideale, che non fu mai attuata in Italia a causa della conformazione morfologica del territorio e dell'impostazione medievale delle grandi città; in Eritrea gli architetti razionalisti e futuristi poterono sbizzarrirsi in produzioni architettoniche straordinarie come il famoso distributore de benzina FIAT Tagliero o il Cinema Impero, o ancora il Palazzo del governatore.

Distributore FIAT Tagliero (Asmara, Eritrea 2011)
5.  Gli Ascari che combatterono per l'Italia durante il colonialismo italiano, dopo la fine della guerra ebbero il diritto di ricevere qualora lo volessero il passaporto italiano e la pensione di guerra analoga a quella dei soldati nazionali (pari a 300€) che tutti ritirarono per l'intera durata della loro vita presso le ambasciate italiane delle ex colonie. Nel 2001 erano ancora 350 gli ascari che si recavano mensilmente presso l'ambasciata italiana per il ritiro della pensione. Solo tre ascari però decisero di trasferirsi in Italia dopo la guerra: uno di essi è ancora in vita e vive a Roma.

domenica 3 aprile 2016

Oreste Baratieri: Il provinciale tirolese divenuto Governatore d'Eritrea

Il Governatore d'Eritrea
gen. Oreste Baratieri 
Nato in Tirolo (Alto Adige) col nome di Baratter, decise di italianizzarlo prima in Barattieri e poi in Baratieri quando decise di aderire ai moti risorgimentali.
Nel 1859 si trasferì a Milano e l'anno successivo si unì ai Mille di Giuseppe Garibaldi, partecipando con successo alla presa di Capua. Per le imprese con le camice rosse ottenne il grado di capitano e una medaglia d'argento. Rimase affiliato ai garibaldini per 6 anni, dal1860 al 1866.
Il 3 gennaio 1867 si sposò con Lidia Ceracchini e partecipò alla sfortunata battaglia di Mentana dello stesso anno contro l'esercito francese e si arruolò come regolare nel Regio Esercito nel 1872. Tra il 1874 ed il 1875 partecipò alla spedizione geografica Antinori in Tunisia, per conto della Società Geografica Italiana; e venne nominato colonnello a Cremona nel 1886.
Partecipò, come colonnello dei bersaglieri, alle campagne militari in Eritrea del 1887-88 e nuovamente nel 1890 e nel 1891 come comandante in seconda.
Inoltre venne eletto deputato per la Destra storica a Breno, in provincia di Brescia, ed ebbe confermato il suo seggio per sette legislature, dalla XIII alla XIX (1876-1895).
Nel 1891 fu comandante in capo in Africa ed il 28 febbraio dell'anno seguente fu designato dal re Umberto I governatore della colonia Eritrea e comandante in capo del Regio Corpo Truppe Coloniali d'Africa, col grado di maggior generale e poi di generale comandante.
Ordinatogli dal governo di invadere l'Etiopia, iniziò ad annettere Kassala in Sudan il 17 luglio 1894, e nel 1895 combatté contro i ras Maconnen e Mangascià, che sconfisse nella battaglia di Coatit e di Senafè il 13 gennaio 1895 si accinse alla conquista del Tigrè e nello stesso anno occupò Adigrat, Aksum e Adua.
A seguito dell'eccidio di un reparto italo-eritreo di 1880 uomini, compiuto sull'Amba Alagi il 3 dicembre del 1895, presentò le dimissioni, ma fu costretto dal primo ministro Francesco Crispi (che non intendeva rinunciare alla sua politica colonialista) a passare all'offensiva contro gli africani, nonostante essi fossero in netta superiorità numerica e logistica (a differenza di quanto pensava Crispi).
In procinto di essere esonerato dal comando e venir sostituito dal generale Baldissera, Baratieri decise di cercare una battaglia risolutiva contro Menelik. L'attacco, condotto malamente, fidando su mediocri carte militari, portò rapidamente alla separazione delle varie colonne italiane, che furono quindi sorprese e distrutte, dopo una valorosa resistenza, una dopo l'altra durante la sanguinosa battaglia di Adua del 1º marzo 1896, una delle disfatte più pesanti e tragiche della storia d'Italia. Baratieri diede prova, nella circostanza, di mediocri qualità militari e perse rapidamente il controllo della situazione, senza riuscire a evitare la catastrofe e scampando a sua volta a stento alla morte o alla cattura.
Baratieri (seduto al centro) con lo Stato Maggiore (Eritrea 1888)
Accusato di abbandono di comando, per aver preceduto le truppe nella ritirata dopo Adua, fu ritenuto responsabile dalle autorità di Roma delle tre sconfitte italiane dell'Amba Alagi, di Macallè e Adua: arrestato il 21 marzo 1897, fu quindi sottoposto ad un umiliante processo all'Asmara; il generale sarebbe poi stato prosciolto da ogni accusa per non compromettere l'onore delle forze armate, ma fu collocato a riposo ed abbandonò la carriera militare.
Negli ultimi tempi della sua vita soggiornò ad Arco e a Venezia; qui scrisse, come estrema autodifesa, le Memorie d'Africa, nel tentativo di proclamarsi vittima del destino. In particolare, mostrando un visibile cambiamento d'opinione rispetto a quando era un capo militare nella Colonia Eritrea, nelle sue memorie tracciò un'analisi precisa del colonialismo italiano e dei metodi degli europei per sottomettere l'Africa, definiti disumani e distruttivi. Secondo l'ex generale, il destino degli africani era analogo a quello degli indiani d'America sterminati dagli europei.

Diresse, per diversi anni, la "Rivista militare italiana". Morì improvvisamente a Vipiteno, allora nel Tirolo austro-ungarico, dove si era recato a visitare dei parenti.

giovedì 17 marzo 2016

I Doubat: gli Arditi Neri

Doubat cammellati guidati da Camillo Bechis.
I Doubat (turbanti bianchi per i coloni, Arditi Neri per gli Italiani) furono un corpo di milizia di confine istituito in Somalia tra il 1924 ed il 1941 e costituivano una via di mezzo tra truppe irregolari (erano civili con compiti di vigilanza) e truppe regolari (l'equipaggiamento era lo stesso per tutti ed il comando era di tipo militare tradizionale).
In realtà esistevano già da molto tempo: vennero impiegati la prima volta nel 1905 con il nome di Gogle (fiduciari) con compiti di guerriglia e pattugliamento; in seguito nel 1923 vennero "regolarizzati" dal governatore della Somalia De Vecchi; in questo periodo adottarono il soprannome datogli dalla popolazione (Dub=Turbanti at=bianchi) come nome ufficiale della milizia.
Nel 1925 il reparto venne affidato al comando del Maggiore degli Alpini e Commissario di Confine Camillo Bechis.
Doubat con equipaggiamento tipico.
La loro principale caratteristica consisteva nell'estrema leggerezza di armamento (a sinistra): disponevano di un Mannlicher di preda bellica austro-ungarica e di equipaggiamento composto da due cartucciere, un pugnale tradizionale somalo (billao), turbante, gonnellino (futa) e fascia trasversale sul torace (tutto rigorosamente bianco); questo equipaggiamento estremamente leggero consentiva spostamenti rapidissimi. Il reclutamento dei Dubat, avveniva fra i clan di confine; per risultare idonei era necessario appartenere ad una tribù di guerrieri, avere un'età compresa tra i 18 ed i 35 anni e superare una prova di resistenza fisica molto dura: corsa campestre di 60 chilometri in non più di 10 ore; prova che selezionava degli uomini dalla prestanza fisica eccezionale in grado di controllare con pochi uomini tutto lo sterminato confine della Somalia che altrimenti avrebbe richiesto migliaia di truppe "tradizionali".
I Doubat erano divisi in bande, con ufficiali italiani e sottufficiali somali o yemeniti. L'addestramento era affidato a sottufficiali indigeni appartenenti a battaglioni coloniali e la loro gerarchia era suddivisa in 4 gradi: gregario; sotto capo; capobanda; comandante.
Esistevano, inoltre due tipologie differenti di Doubat: i fanti ed i Doubat cammellati o dromedariati.
I Doubat si distinsero anche in scenari di guerra nei quali erano sovente impiegati con compiti di pattugliamento o ricognizione; tra le loro operazioni più importanti troviamo: la soppressione del movimento ribelle-terrorista di Erzi Bogor, la guerra d'Etiopia (1935) e la conquista della Somalia Britannica (1940).

domenica 21 febbraio 2016

Spahis: i cavalieri del deserto


Gli Spahi nascono nel medioevo come cavalieri pesanti e combattono per secoli per l'impero ottomano con le proprie leggi senza mai adeguarsi alle leggi di un esercito "regolare": Altamente addestrati ed arditi crearono no pochi problemi ai nemici dell'impero turco.
Spahi ottomani nel 1683
Con il passare dei secoli si adeguarono alle nuove tipologie di guerra divenendo alla fine dell'ottocento truppe leggere a cavallo armate di moschetto, bombe a mano e pistola.
Dopo il 1912 l'Italia ottenne la Libia dall'Impero Ottomano. Per la gestione coloniale della Libia italiana furono creati squadroni di cavalleria, arruolando i locali Spahi della Libia ottomana.

Gli Spahis erano cavalieri reclutati in Libia ed adibiti, come Cavalleria Leggera, per esplorazione, scorte e servizi di vigilanza dei confini. 
Importante notare la differenza con i Savari che venivano reclutati sempre in libia come truppa a cavallo ma erano inquadrati nell'esercito regolare, mentre gli Spahis, fedeli alla loro tradizione venivano arruolati a "Plotoni" e nell'ingaggio era previsto anche il cavallo che era di proprietà, inoltre lo status di Spahis era ereditario; gli Spahis non rispondevano ad un corpo preciso dell'esercito ma erano gruppi armati "indipendenti" con schemi di guerra e tradizioni completamente diversi da quelli della cavalleria tradizionale.


Spahis italiani alla carica nel 1936
Gli Spahis italiani operarono tra il 1912 ed il 1935 nei Regio corpo truppe coloniali della Tripolitania e della Cirenaica, poi dal 1935 al 1942 nel Regio corpo truppe coloniali della Libia unificato. Differivano dai loro corrispondenti francesi in quanto il loro ruolo principale era quello di polizia montata: furono usati principalmente per compiti di esplorazione, scorta e soprattutto e per controllare i confini e le zone del deserto sahariano libico, mentre gli Spahis algerini francesi erano perlopiù inquadrati nell'esercito coloniale.

Gli Spahis indossavano un vestito pittoresco, modellato su quello delle tribú berbere ed arabe del deserto dalle quali sono stati reclutati. Spesso in guerra indossavano un "burnus" bianco.

Il più famoso gruppo di Spahis italiani fu quello di Amedeo Guillet.

Nel 1935 il "comandante Diavolo" (come fu soprannominato Guillet) ottenne il trasferimento in Libia presso un reparto di Spahis. Nell'ottobre del 1935 partecipò, come comandante di plotone degli Spahis di Libia, alle prime azioni della guerra di Etiopia.

Il 24 dicembre dello stesso anno venne ferito gravemente alla mano sinistra durante la battaglia di Selaclaclà, dove si distinsero i suoi duecento Spahis. In seguito sfilò a Roma, in occasione del primo anniversario dell'Impero, alla testa delle unità Spahis.

Amedeo Guillet: il Lawrence d'Arabia italiano

Nato a Piacenza nel 1909, il barone Amedeo Guillet è un brillante sottotenente di cavalleria del Regio Esercito Italiano. Per le sue innate capacità equestri viene scelto per rappresentare la squadra italiana di equitazione alle Olimpiadi di Berlino del 1936, ma nell'inverno del '34 gli eventi precipitano: Mussolini annuncia al mondo le sue mire coloniali in Africa ed Amedeo decide di partecipare alla campagna d'Abissinia.
Il giovane barone Amedeo Guillet
 Il 3 Ottobre 1945 quando inizia il conflitto Guillet è a capo di un contingente di Spahis (guerriglieri libici montati a cavallo).
 Guillet ha subito un rapporto molto stretto con i suoi spahis tanto che deciderà di imparare l'arabo per poter comunicare meglio con loro, i quali a loro volta ammiravano Guillet affibbiandogli il soprannome di "comandante diavolo".
Dopo essere stato ferito ad una mano torna in Italia per farsi operare e qui conosce la cugina "Bice" con la quale si sposerà. Intanto partecipa alla guerra di Spagna e viene decorato dal Generalissimo Franco; in seguito, ferito ad una gamba torna in Africa a Tripoli dove viene ricoverato, qui riceve l'incarico dal Vicerè Amedeo D'Aosta di  tornare in Eritrea per governare una vasta area.
Qui viene subito amato da tutti gli indigeni che non lo tradiranno mai e non diserteranno mai nemmeno dopo la guerra.
Qui incontra la figlia di un capo tribù: Kadija con la quale avrà una storia che durerà per tutta la sua permanenza in Africa.
Guillet nei panni di Ahmed Abdellah Al Redai
Gli viene affidato un battaglione di indigeni a cavallo "Gruppo Bande Amhara", l'addestramento non è ancora completo quando l'Italia entra in guerra e Guillet è costretto a combattere contro gli inglesi; si distinguerà per spirito di sacrificio e ardimento in battaglia, infatti per consentire alle truppe italiane di stanza ad Asmara di ritirarsi ordina una carica di cavalleria contro i carri inglesi e riesce a vincere: per gli inglesi inizia l'incubo del comandante diavolo.
Dopo la sconfitta in Africa Orientale riceve l'ordine di ritirarsi in Libia, ma decide di restare in Eritrea, si traveste, abbandona la divisa e si veste da indigeno, cambierà anche il suo nome in Ahmed Abdellah Al Redai, fingendosi uno yemenita bloccato in Eritrea dopo la sconfitta italiana; così facendo non verrà mai trovato. Organizza la guerriglia contro gli inglesi, armando i nativi eritrei svuotando i depositi italiani abbandonati ed avviando un logoramento delle truppe inglesi con azioni di sabotaggio e guerriglia tanto che gli inglesi offrirono una taglia di 1000 sterline per chiunque lo catturasse; ma Guillet non venne mai tradito. La sua missione personale era quella di infliggere più danni possibili agli inglesi con l'intento di aiutare gli italiani che stavano ancora combattendo in Libia.
Guillet è considerato uno dei più grandi patrioti dell'Eritrea, e quando vi tornò in visita ufficiale venne accolto come un eroe, infatti senza di lui e la sua guerriglia contro etiopi ed inglesi l'Eritrea, probabilmente non sarebbe mai divenuta indipendente.


sabato 20 febbraio 2016

gli Sciumbasci: Marescialli d'Africa

sopra: gradi Sciumbasci dell'Africa Orientale.
Prima di tutto ci teniamo a fare chiarezza circa i gradi delle truppe coloniali, che non sono sempre chiari a tutti; in seguito parleremo degli Sciumbasci ovvero i marescialli delle truppe colonali.I gradi delle truppe coloniali erano così suddivisi: Ascari (soldato) - Muntaz (caporale) - Bulucbasci (sergente) - Sciumbasci (maresciallo)
La denominazione Sciumbasci (o scium-basci o sciumbascì) proviene dalla parola tigrina per "investito del potere".Lo sciumbasci è il più alto grado raggiungibile dagli ascari eritrei, libici, somali ed abissini del Regio Esercito ed è posto sotto il tenente (grado precluso alle truppe coloniali) e sopra il bulucbasci.
Lo sciumbasci veniva assegnato ad ogni mezza-compagnia coloniale o buluc ed era addestrato per poterla comandare come fosse un ufficiale, in caso di necessità. Inoltre requisito essenziale per essere ammesso al grado di sciumbasci era la conoscenza della lingua italiana.Presiedeva alle funzioni di fureria del suo reparto, ossia alle distribuzioni, ai prelevamenti, ai turni, ai servizi, inoltre aveva incarico di occuparsi dell'istruzione delle reclute, dell'igiene, della pulizia e dell'ordine della truppa. Svolgeva anche la mansione d'interprete fra gli ufficiali italiani e la truppa coloniale, qualora questa non parlasse la lingua, ed era considerato il primo cooperatore degli ufficiali.Il distintivo di grado dello sciumbasci consisteva da tre galloni di tessuto di lana rossa, fatti ad angolo, uno sotto l'altro, con la punta rivolta verso la spalla, soppannati di panno nero a triangolo. Inoltre lo sciumbasci porta sul tarbush tre stellette disposte a triangolo equilatero, con la base parallela all'orlo inferiore del tarbush.
Lo sciumbasci degli zaptiè in grande uniforme indossava penne di struzzo bianche sul copricapo.
Sul distintivo erano posti anche i contrassegni di anzianità e di merito (la corona dei Savoia) come distintivo di promozione per merito di guerra, nonché il fregio di specialità (mitragliere, mitragliere scelto, musicante, trombettiere, tamburino, sellaio, maniscalco, bracciale internazionale) e il distintivo di ferita in guerra.
sopra: lo Sciumbasci Tonino Lascari m.a.v.m.

In quanto sottufficiale, lo sciumbasci poteva essere armato anche di pistola (di solito un revolver Camelot-Delevigne mod. 1874) e di sciabola tradizionale (Billao o Shotel) oltre che dell'armamento d'ordinanza.Allo sciumbasci era consentito indossare fuori servizio una mantellina nera (di propria proprietà).Lo sciumbasci portava come simbolo d'autorità il curbasc, un frustino di pelle d'ippopotamo, col quale applicava anche le sanzioni amministrative fisiche alla truppa.
Sono poco note le gesta eroiche di questi uomini: alcuni di loro, tra cui lo Sciumbasci Tonino Lascari in inferiorità numerica, senza munizioni e circondati dagli inglesi impugnarono le loro Shotel e saltarono addosso al comando inglese che stava facendo fuoco sulla loro postazione al grido di "Savoia".


Somalia: La Storia di Scirè


La mattina che ce lo vedemmo davanti non credevamo ai nostri occhi ed alle nostre orecchie :
"Ho saputo che gli italiani sono tornati e voglio riprendere servizio!"
Il Signor Scirè con la divisa da incursore
Queste parole pronunciate con un tono che non ammetteva repliche, erano proferite da un Somalo decisamente anziano, come tutti coloro che hanno combattuto sotto il tricolore.
Sciré di anni ne avrebbe dovuti avere oltre ottanta ma ancora dimostrava una vitalità insospettabile. 
Fu subito "adottato" dagli incursori del Col Moschin, i quali realizzarono per lui una piccola baracca dove l'anziano combattente pose il suo acquartieramento,
avendo cura di farsi portare un venerando fucile Modello 91 dal nipote.
Tutte le mattine si presentava per l'ispezione al Generale Loi, facendo ruotare con insospettabile maestria il fucile per mostrare quanto fosse pulito. Con un altro colpo riportava l'arma alla spalla e se il Generale si dimenticava di dargli il "riposo", lui rimaneva impietrito sul "presentat-arm". 
Nelle cerimonie e alla presenza di autorità con la sua voce profonda proferiva un Viva il Duce, viva il Re, viva l'Italia nonostante gli fosse stato ripetuto più volte che in questo mezzo secolo qualcosa da noi era mutato.
Caro vecchio Sciré; esempio emblematico d'attaccamento all'Italia in un periodo molto difficile per il nostro Paese. 
Gli incursori, al termine di un breve esame e di una prova ginnica (per forza d'età forzatamente ridotta) hanno voluto consegnargli l'ambitissimo distintivo da Incursore e lui è rimasto commosso da questo gesto. 
Lui che cammina ancora scalzo ha visto finalmente ripagato l'attaccamento all'Italia: "Italiani grandi soldati, fare culo così agli Abissini! era solito ripetere.
Grazie Scirè, Soldato italiano abbandonato e dimenticato dalla tua patria.. ma te no, e per ricambiare tu non ci hai mai ne abbandonati e nemmeno dementicati.

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