domenica 3 aprile 2016

Oreste Baratieri: Il provinciale tirolese divenuto Governatore d'Eritrea

Il Governatore d'Eritrea
gen. Oreste Baratieri 
Nato in Tirolo (Alto Adige) col nome di Baratter, decise di italianizzarlo prima in Barattieri e poi in Baratieri quando decise di aderire ai moti risorgimentali.
Nel 1859 si trasferì a Milano e l'anno successivo si unì ai Mille di Giuseppe Garibaldi, partecipando con successo alla presa di Capua. Per le imprese con le camice rosse ottenne il grado di capitano e una medaglia d'argento. Rimase affiliato ai garibaldini per 6 anni, dal1860 al 1866.
Il 3 gennaio 1867 si sposò con Lidia Ceracchini e partecipò alla sfortunata battaglia di Mentana dello stesso anno contro l'esercito francese e si arruolò come regolare nel Regio Esercito nel 1872. Tra il 1874 ed il 1875 partecipò alla spedizione geografica Antinori in Tunisia, per conto della Società Geografica Italiana; e venne nominato colonnello a Cremona nel 1886.
Partecipò, come colonnello dei bersaglieri, alle campagne militari in Eritrea del 1887-88 e nuovamente nel 1890 e nel 1891 come comandante in seconda.
Inoltre venne eletto deputato per la Destra storica a Breno, in provincia di Brescia, ed ebbe confermato il suo seggio per sette legislature, dalla XIII alla XIX (1876-1895).
Nel 1891 fu comandante in capo in Africa ed il 28 febbraio dell'anno seguente fu designato dal re Umberto I governatore della colonia Eritrea e comandante in capo del Regio Corpo Truppe Coloniali d'Africa, col grado di maggior generale e poi di generale comandante.
Ordinatogli dal governo di invadere l'Etiopia, iniziò ad annettere Kassala in Sudan il 17 luglio 1894, e nel 1895 combatté contro i ras Maconnen e Mangascià, che sconfisse nella battaglia di Coatit e di Senafè il 13 gennaio 1895 si accinse alla conquista del Tigrè e nello stesso anno occupò Adigrat, Aksum e Adua.
A seguito dell'eccidio di un reparto italo-eritreo di 1880 uomini, compiuto sull'Amba Alagi il 3 dicembre del 1895, presentò le dimissioni, ma fu costretto dal primo ministro Francesco Crispi (che non intendeva rinunciare alla sua politica colonialista) a passare all'offensiva contro gli africani, nonostante essi fossero in netta superiorità numerica e logistica (a differenza di quanto pensava Crispi).
In procinto di essere esonerato dal comando e venir sostituito dal generale Baldissera, Baratieri decise di cercare una battaglia risolutiva contro Menelik. L'attacco, condotto malamente, fidando su mediocri carte militari, portò rapidamente alla separazione delle varie colonne italiane, che furono quindi sorprese e distrutte, dopo una valorosa resistenza, una dopo l'altra durante la sanguinosa battaglia di Adua del 1º marzo 1896, una delle disfatte più pesanti e tragiche della storia d'Italia. Baratieri diede prova, nella circostanza, di mediocri qualità militari e perse rapidamente il controllo della situazione, senza riuscire a evitare la catastrofe e scampando a sua volta a stento alla morte o alla cattura.
Baratieri (seduto al centro) con lo Stato Maggiore (Eritrea 1888)
Accusato di abbandono di comando, per aver preceduto le truppe nella ritirata dopo Adua, fu ritenuto responsabile dalle autorità di Roma delle tre sconfitte italiane dell'Amba Alagi, di Macallè e Adua: arrestato il 21 marzo 1897, fu quindi sottoposto ad un umiliante processo all'Asmara; il generale sarebbe poi stato prosciolto da ogni accusa per non compromettere l'onore delle forze armate, ma fu collocato a riposo ed abbandonò la carriera militare.
Negli ultimi tempi della sua vita soggiornò ad Arco e a Venezia; qui scrisse, come estrema autodifesa, le Memorie d'Africa, nel tentativo di proclamarsi vittima del destino. In particolare, mostrando un visibile cambiamento d'opinione rispetto a quando era un capo militare nella Colonia Eritrea, nelle sue memorie tracciò un'analisi precisa del colonialismo italiano e dei metodi degli europei per sottomettere l'Africa, definiti disumani e distruttivi. Secondo l'ex generale, il destino degli africani era analogo a quello degli indiani d'America sterminati dagli europei.

Diresse, per diversi anni, la "Rivista militare italiana". Morì improvvisamente a Vipiteno, allora nel Tirolo austro-ungarico, dove si era recato a visitare dei parenti.

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