lunedì 22 febbraio 2016

Le 5 cose che (forse) non sai su Vittorio Emanuele II

Vittorio Emanuele II nel suo ritratto più celebre
1.  A causa della sua statura bassa e tarchiata, a differenza di quella dei genitori entrambi alti (Carlo Alberto addirittura 2,03 metri) iniziarono a circolare voci maliziose che lo vedevano come un figlio di un popolano, sostituito al vero Vittorio Emanuele morto in un incendio ancora in fasce; queste voci si devono al fatto che il giovane sovrano non assomigliasse affatto ai genitori ed aveva una conformazione fisica singolare per un monarca, molto simile a quella dei popolani del primo ottocento.

2.  I letti dei Savoia erano tutti piccoli, non perchè questi fossero di bassa statura (uniche eccezioni Vittorio Emanuele II ed il nipote Vittorio Emanuele III) ma perchè era una sorta di tradizione di famiglia quella di dormire in posizione fetale; infatti non poche consorti dei Reali Piemontesi si lamentarono della grandezza dei letti di Palazzo.

3.  Vittorio Emanuele II soffriva di "gallismo" una patologia che lo vedeva attratto in ogni momento dal sesso femminile, tanto che alcuni sovrani del tempo parlarono di questo suo "problema" dopo aver avuto colloqui con lui nei quali si tratteneva in modo evidente dal fare apprezzamenti sulla servitù.

Il Re durante una battuta di caccia: il suo passatempo preferito
4.  Vittorio Emanuele II ebbe una storia d'amore con una popolana detta "Rosina" che aveva conosciuto durante una battuta di caccia.
A detta del conte di Cavour la bella Rosina" lo manteneva nella copula e nel disordine"; e rivolgendosi ai cortigiani li incitava:"è per noi un dovere di coscienza di staccarlo". 
Vittorio Emanuele II amava commentare " almeno dalla Rosina si può desinare in maniche di camicia".Rosina condivideva con il Re la buona cucina, il biliardo e la passione per la caccia. Tra i cimeli trovati nell'appartamento regale un bastone da passeggio spezzato in due con l' etichetta "rotto sulla schiena di don Margotti per quanto scritto su Rosina" Margotti era il direttore del giornale torinese l'Armonia e fu tra coloro che sperimentarono a proprie spese di quale protezione godesse la donna, regina di cuori del re d' Italia. 


5.  Il rapporto dei Savoia con il paranormale e la superstizione era molto marcato al punto che arrivò a coinvolgere i numeri: il 28 portava male. Troppi decessi erano avvenuti in Casa Savoia il giorno 28: Carlo Alberto, Vittorio Emanuele, la Regina Elena, la loro figlia Mafalda e molti altri. Che fare per proteggersi? Vittorio Emanuele II usava farsi crescere per un anno intero le unghie degli alluci per poi affidarle al suo orafo affinché le incastonasse in oro e diamanti: una volta pronte ne faceva talismani che dava in dono alle sue amanti. Dopo la morte del re, il successore Umberto I recuperò un'unghia che il morto aveva regalato a sua madre, la regina Maria Adelaide, e la regalò come portafortuna al Conte di Mirafiori.

22 Febbraio 1916

fuoco di sbarramento tedesco a Samogneux
Per il 22 febbraio lo Stato maggiore tedesco non pose limiti all'avanzata delle proprie truppe, che avrebbero seguito lo stesso schema del giorno precedente ovvero bombardamento a tappeto al mattino ed avanzata della fanteria nel pomeriggio
Alle 16:00 circa i tedeschi conquistarono Haumont-près-Samogneux (un villaggio adiacente a Verdun  che però era stato completamente raso al suolo dall'artiglieria tedesca).
Con questa vittoria i tedeschi crearono il primo cuneo dentro le difese nemiche, ma il vero successo fu la conquista del Bois de Caures (bosco di Caures) dove incontrarono solo due battaglioni decimati di chasseurs a pied francesi comandanti da Émile Driant fervente nazionalista francese che resistette in inferiorità numerica, strategica ed organizzativa ma venne ucciso ed i suoi uomini dovettero arrendersi dopo alcune ore di battaglia.
I tedeschi avevano finalmente trovato il punto debole delle forze francesi: tutto lasciava presagire il meglio.
soldati francesi in postazione presso il Bois de Caures
Intanto la disorganizzazione dell'artiglieria francese stava dando degli effetti negativi e intanto i tedeschi continuarono ad avanzare aiutati da massicci bombardamenti.
Poco dopo occuparono la cittadina di Samogneux con l'intento di entrare a Verdun da nord; i colpi dell'artiglieria impedirono ai rinforzi francesi di giungere al fronte, inoltre le postazioni francesi vennero colpite dalla propria artiglieria a causa di un errore che dava la città già in mano ai tedeschi.

domenica 21 febbraio 2016

Spahis: i cavalieri del deserto


Gli Spahi nascono nel medioevo come cavalieri pesanti e combattono per secoli per l'impero ottomano con le proprie leggi senza mai adeguarsi alle leggi di un esercito "regolare": Altamente addestrati ed arditi crearono no pochi problemi ai nemici dell'impero turco.
Spahi ottomani nel 1683
Con il passare dei secoli si adeguarono alle nuove tipologie di guerra divenendo alla fine dell'ottocento truppe leggere a cavallo armate di moschetto, bombe a mano e pistola.
Dopo il 1912 l'Italia ottenne la Libia dall'Impero Ottomano. Per la gestione coloniale della Libia italiana furono creati squadroni di cavalleria, arruolando i locali Spahi della Libia ottomana.

Gli Spahis erano cavalieri reclutati in Libia ed adibiti, come Cavalleria Leggera, per esplorazione, scorte e servizi di vigilanza dei confini. 
Importante notare la differenza con i Savari che venivano reclutati sempre in libia come truppa a cavallo ma erano inquadrati nell'esercito regolare, mentre gli Spahis, fedeli alla loro tradizione venivano arruolati a "Plotoni" e nell'ingaggio era previsto anche il cavallo che era di proprietà, inoltre lo status di Spahis era ereditario; gli Spahis non rispondevano ad un corpo preciso dell'esercito ma erano gruppi armati "indipendenti" con schemi di guerra e tradizioni completamente diversi da quelli della cavalleria tradizionale.


Spahis italiani alla carica nel 1936
Gli Spahis italiani operarono tra il 1912 ed il 1935 nei Regio corpo truppe coloniali della Tripolitania e della Cirenaica, poi dal 1935 al 1942 nel Regio corpo truppe coloniali della Libia unificato. Differivano dai loro corrispondenti francesi in quanto il loro ruolo principale era quello di polizia montata: furono usati principalmente per compiti di esplorazione, scorta e soprattutto e per controllare i confini e le zone del deserto sahariano libico, mentre gli Spahis algerini francesi erano perlopiù inquadrati nell'esercito coloniale.

Gli Spahis indossavano un vestito pittoresco, modellato su quello delle tribú berbere ed arabe del deserto dalle quali sono stati reclutati. Spesso in guerra indossavano un "burnus" bianco.

Il più famoso gruppo di Spahis italiani fu quello di Amedeo Guillet.

Nel 1935 il "comandante Diavolo" (come fu soprannominato Guillet) ottenne il trasferimento in Libia presso un reparto di Spahis. Nell'ottobre del 1935 partecipò, come comandante di plotone degli Spahis di Libia, alle prime azioni della guerra di Etiopia.

Il 24 dicembre dello stesso anno venne ferito gravemente alla mano sinistra durante la battaglia di Selaclaclà, dove si distinsero i suoi duecento Spahis. In seguito sfilò a Roma, in occasione del primo anniversario dell'Impero, alla testa delle unità Spahis.

Amedeo Guillet: il Lawrence d'Arabia italiano

Nato a Piacenza nel 1909, il barone Amedeo Guillet è un brillante sottotenente di cavalleria del Regio Esercito Italiano. Per le sue innate capacità equestri viene scelto per rappresentare la squadra italiana di equitazione alle Olimpiadi di Berlino del 1936, ma nell'inverno del '34 gli eventi precipitano: Mussolini annuncia al mondo le sue mire coloniali in Africa ed Amedeo decide di partecipare alla campagna d'Abissinia.
Il giovane barone Amedeo Guillet
 Il 3 Ottobre 1945 quando inizia il conflitto Guillet è a capo di un contingente di Spahis (guerriglieri libici montati a cavallo).
 Guillet ha subito un rapporto molto stretto con i suoi spahis tanto che deciderà di imparare l'arabo per poter comunicare meglio con loro, i quali a loro volta ammiravano Guillet affibbiandogli il soprannome di "comandante diavolo".
Dopo essere stato ferito ad una mano torna in Italia per farsi operare e qui conosce la cugina "Bice" con la quale si sposerà. Intanto partecipa alla guerra di Spagna e viene decorato dal Generalissimo Franco; in seguito, ferito ad una gamba torna in Africa a Tripoli dove viene ricoverato, qui riceve l'incarico dal Vicerè Amedeo D'Aosta di  tornare in Eritrea per governare una vasta area.
Qui viene subito amato da tutti gli indigeni che non lo tradiranno mai e non diserteranno mai nemmeno dopo la guerra.
Qui incontra la figlia di un capo tribù: Kadija con la quale avrà una storia che durerà per tutta la sua permanenza in Africa.
Guillet nei panni di Ahmed Abdellah Al Redai
Gli viene affidato un battaglione di indigeni a cavallo "Gruppo Bande Amhara", l'addestramento non è ancora completo quando l'Italia entra in guerra e Guillet è costretto a combattere contro gli inglesi; si distinguerà per spirito di sacrificio e ardimento in battaglia, infatti per consentire alle truppe italiane di stanza ad Asmara di ritirarsi ordina una carica di cavalleria contro i carri inglesi e riesce a vincere: per gli inglesi inizia l'incubo del comandante diavolo.
Dopo la sconfitta in Africa Orientale riceve l'ordine di ritirarsi in Libia, ma decide di restare in Eritrea, si traveste, abbandona la divisa e si veste da indigeno, cambierà anche il suo nome in Ahmed Abdellah Al Redai, fingendosi uno yemenita bloccato in Eritrea dopo la sconfitta italiana; così facendo non verrà mai trovato. Organizza la guerriglia contro gli inglesi, armando i nativi eritrei svuotando i depositi italiani abbandonati ed avviando un logoramento delle truppe inglesi con azioni di sabotaggio e guerriglia tanto che gli inglesi offrirono una taglia di 1000 sterline per chiunque lo catturasse; ma Guillet non venne mai tradito. La sua missione personale era quella di infliggere più danni possibili agli inglesi con l'intento di aiutare gli italiani che stavano ancora combattendo in Libia.
Guillet è considerato uno dei più grandi patrioti dell'Eritrea, e quando vi tornò in visita ufficiale venne accolto come un eroe, infatti senza di lui e la sua guerriglia contro etiopi ed inglesi l'Eritrea, probabilmente non sarebbe mai divenuta indipendente.


21 Febbraio 1916

Autocarri francesi giungono a Verdun con rinforzi
Le cose non si stanno mettendo bene per i tedeschi, che si rendono conto di non poter continuare all'infinito una guerra così dispendiosa: il Generale Falkenhayn, Capo di stato maggiore tedesco ne è consapevole e deve assolutamente trovare un modo per continuare la guerra, per non far capire ai francesi che sono in difficoltà, altrimenti avrebbero sferrato l'assalto decisivo; il modo per far impensierire i francesi è la città di Verdun: un fronte ormai abbandonato dalle truppe francesi che non si aspettavano certo un'offensiva proveniente da quel fronte ed una possibile conquista avrebbe avuto una grossa influenza sul morale dei francesi.
Verdun fu altre volte conquistata dai tedeschi:, nel 1792 e nel 1870, ma questa volta non sono fini strategici o territoriali a spingere l'avanzata ma un piano di sfiancamento dell'Intesa.
I tedeschi organizzano quindi l'attacco portando sul fronte armi ed equipaggiamento, avendo cura di non essere visti con l'intento di sfruttare l'effetto sorpresa.
In pochi mesi è tutto pronto per l'offensiva che inizia Lunedì 21 Febbraio, poco prima del sorgere del sole, con l'aiuto dell'oscurità. 
Il bomabardamento è pesante, e per nove ore i francesi non riescono a rispondere al fuoco, possono solo restare in trincea e subire una pioggia di proiettili mai vista; d'un tratto i cannoni smettono di sparare e viene dato l'ordine d'attacco: circa 140.000 tedeschi avanzano sulla città francese.

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