domenica 21 febbraio 2016

Amedeo Guillet: il Lawrence d'Arabia italiano

Nato a Piacenza nel 1909, il barone Amedeo Guillet è un brillante sottotenente di cavalleria del Regio Esercito Italiano. Per le sue innate capacità equestri viene scelto per rappresentare la squadra italiana di equitazione alle Olimpiadi di Berlino del 1936, ma nell'inverno del '34 gli eventi precipitano: Mussolini annuncia al mondo le sue mire coloniali in Africa ed Amedeo decide di partecipare alla campagna d'Abissinia.
Il giovane barone Amedeo Guillet
 Il 3 Ottobre 1945 quando inizia il conflitto Guillet è a capo di un contingente di Spahis (guerriglieri libici montati a cavallo).
 Guillet ha subito un rapporto molto stretto con i suoi spahis tanto che deciderà di imparare l'arabo per poter comunicare meglio con loro, i quali a loro volta ammiravano Guillet affibbiandogli il soprannome di "comandante diavolo".
Dopo essere stato ferito ad una mano torna in Italia per farsi operare e qui conosce la cugina "Bice" con la quale si sposerà. Intanto partecipa alla guerra di Spagna e viene decorato dal Generalissimo Franco; in seguito, ferito ad una gamba torna in Africa a Tripoli dove viene ricoverato, qui riceve l'incarico dal Vicerè Amedeo D'Aosta di  tornare in Eritrea per governare una vasta area.
Qui viene subito amato da tutti gli indigeni che non lo tradiranno mai e non diserteranno mai nemmeno dopo la guerra.
Qui incontra la figlia di un capo tribù: Kadija con la quale avrà una storia che durerà per tutta la sua permanenza in Africa.
Guillet nei panni di Ahmed Abdellah Al Redai
Gli viene affidato un battaglione di indigeni a cavallo "Gruppo Bande Amhara", l'addestramento non è ancora completo quando l'Italia entra in guerra e Guillet è costretto a combattere contro gli inglesi; si distinguerà per spirito di sacrificio e ardimento in battaglia, infatti per consentire alle truppe italiane di stanza ad Asmara di ritirarsi ordina una carica di cavalleria contro i carri inglesi e riesce a vincere: per gli inglesi inizia l'incubo del comandante diavolo.
Dopo la sconfitta in Africa Orientale riceve l'ordine di ritirarsi in Libia, ma decide di restare in Eritrea, si traveste, abbandona la divisa e si veste da indigeno, cambierà anche il suo nome in Ahmed Abdellah Al Redai, fingendosi uno yemenita bloccato in Eritrea dopo la sconfitta italiana; così facendo non verrà mai trovato. Organizza la guerriglia contro gli inglesi, armando i nativi eritrei svuotando i depositi italiani abbandonati ed avviando un logoramento delle truppe inglesi con azioni di sabotaggio e guerriglia tanto che gli inglesi offrirono una taglia di 1000 sterline per chiunque lo catturasse; ma Guillet non venne mai tradito. La sua missione personale era quella di infliggere più danni possibili agli inglesi con l'intento di aiutare gli italiani che stavano ancora combattendo in Libia.
Guillet è considerato uno dei più grandi patrioti dell'Eritrea, e quando vi tornò in visita ufficiale venne accolto come un eroe, infatti senza di lui e la sua guerriglia contro etiopi ed inglesi l'Eritrea, probabilmente non sarebbe mai divenuta indipendente.


21 Febbraio 1916

Autocarri francesi giungono a Verdun con rinforzi
Le cose non si stanno mettendo bene per i tedeschi, che si rendono conto di non poter continuare all'infinito una guerra così dispendiosa: il Generale Falkenhayn, Capo di stato maggiore tedesco ne è consapevole e deve assolutamente trovare un modo per continuare la guerra, per non far capire ai francesi che sono in difficoltà, altrimenti avrebbero sferrato l'assalto decisivo; il modo per far impensierire i francesi è la città di Verdun: un fronte ormai abbandonato dalle truppe francesi che non si aspettavano certo un'offensiva proveniente da quel fronte ed una possibile conquista avrebbe avuto una grossa influenza sul morale dei francesi.
Verdun fu altre volte conquistata dai tedeschi:, nel 1792 e nel 1870, ma questa volta non sono fini strategici o territoriali a spingere l'avanzata ma un piano di sfiancamento dell'Intesa.
I tedeschi organizzano quindi l'attacco portando sul fronte armi ed equipaggiamento, avendo cura di non essere visti con l'intento di sfruttare l'effetto sorpresa.
In pochi mesi è tutto pronto per l'offensiva che inizia Lunedì 21 Febbraio, poco prima del sorgere del sole, con l'aiuto dell'oscurità. 
Il bomabardamento è pesante, e per nove ore i francesi non riescono a rispondere al fuoco, possono solo restare in trincea e subire una pioggia di proiettili mai vista; d'un tratto i cannoni smettono di sparare e viene dato l'ordine d'attacco: circa 140.000 tedeschi avanzano sulla città francese.

sabato 20 febbraio 2016

5 cose che (forse) non sai su Giuseppe Garibaldi


Il Garibaldi Panorama era alto 1,50 metri e lungo 83 metri.

1. Nel testamento, riconfermò il suo odio viscerale per gli uffici ecclesiastici, rifiutando qualsiasi tipo di cerimonia e richiedendo la cremazione. Il suo corpo fu imbalsamato ed è conservato in un sepolcro coperto da una massiccia pietra grezza di granito a Caprera.

2. Alla fine del Settecento il ‘pubblico’ avido di conoscere realtà ed eventi storici ebbe a disposizione uno strumento del tutto nuovo:
i panorama. Si trattava di dipinti circolari, di grandi dimensioni, che venivano installati in un edificio appositamente costruito. Dopo alcune prove preliminari in Scozia, il primo tipo di panorama fu mostrato a Londra nel 1788. Uno dei pochi panorama ancora oggi esistenti è il Garibaldi Panorama alto circa 1 metro e mezzo e lungo circa 83 metri, dipinto su entrambi i lati. Si dice che sia il più lungo panorama esistente al mondo. Opera di James J. Story, fu completato a Londra nel 1859. Dal 1860, e per qualche tempo, il panorama fu mostrato a migliaia di interessati spettatori in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Dopo varie vicissitudini e passaggi di proprietà, il Garibaldi Panorama è ora uno dei ‘tesori’ della Hay Library a Brown University, Rhode Island. È unanimemente giudicato il più affascinante panorama mai prodotto.
Garibaldi con la sua fedelissima cavalla Marsala.
dopo la sua morte verranno sepolti vicini.

3.  tra i suoi molti meriti, ci fu anche quello di aver fondato nel 1871 a Torino, la Società Reale per la protezione degli animali“, poi trasformata in Enpa (Ente Nazionale Protezione Animali).

4. Garibaldi nutrì sempre un grande amore per la sua bellissima cavalla bianca (in realtà piuttosto sul grigio chiaro), chiamata Marsala in onore del marchese Sebastiano Giacalone Angileri, che gliela regalò al momento dello sbarco nella cittadina siciliana e che lo accompagnò fedelmente durante le tumultuose spedizioni militari nell’isola prima di essere mandata a Caprera, in Sardegna, dove morì.

5. Garibaldi fu, involontariamente il primo "produttore" in serie di Jeans che venivano prodotti a Genova ed erano stati distribuiti alle Camice Rosse per la campagna dei mille.

gli Sciumbasci: Marescialli d'Africa

sopra: gradi Sciumbasci dell'Africa Orientale.
Prima di tutto ci teniamo a fare chiarezza circa i gradi delle truppe coloniali, che non sono sempre chiari a tutti; in seguito parleremo degli Sciumbasci ovvero i marescialli delle truppe colonali.I gradi delle truppe coloniali erano così suddivisi: Ascari (soldato) - Muntaz (caporale) - Bulucbasci (sergente) - Sciumbasci (maresciallo)
La denominazione Sciumbasci (o scium-basci o sciumbascì) proviene dalla parola tigrina per "investito del potere".Lo sciumbasci è il più alto grado raggiungibile dagli ascari eritrei, libici, somali ed abissini del Regio Esercito ed è posto sotto il tenente (grado precluso alle truppe coloniali) e sopra il bulucbasci.
Lo sciumbasci veniva assegnato ad ogni mezza-compagnia coloniale o buluc ed era addestrato per poterla comandare come fosse un ufficiale, in caso di necessità. Inoltre requisito essenziale per essere ammesso al grado di sciumbasci era la conoscenza della lingua italiana.Presiedeva alle funzioni di fureria del suo reparto, ossia alle distribuzioni, ai prelevamenti, ai turni, ai servizi, inoltre aveva incarico di occuparsi dell'istruzione delle reclute, dell'igiene, della pulizia e dell'ordine della truppa. Svolgeva anche la mansione d'interprete fra gli ufficiali italiani e la truppa coloniale, qualora questa non parlasse la lingua, ed era considerato il primo cooperatore degli ufficiali.Il distintivo di grado dello sciumbasci consisteva da tre galloni di tessuto di lana rossa, fatti ad angolo, uno sotto l'altro, con la punta rivolta verso la spalla, soppannati di panno nero a triangolo. Inoltre lo sciumbasci porta sul tarbush tre stellette disposte a triangolo equilatero, con la base parallela all'orlo inferiore del tarbush.
Lo sciumbasci degli zaptiè in grande uniforme indossava penne di struzzo bianche sul copricapo.
Sul distintivo erano posti anche i contrassegni di anzianità e di merito (la corona dei Savoia) come distintivo di promozione per merito di guerra, nonché il fregio di specialità (mitragliere, mitragliere scelto, musicante, trombettiere, tamburino, sellaio, maniscalco, bracciale internazionale) e il distintivo di ferita in guerra.
sopra: lo Sciumbasci Tonino Lascari m.a.v.m.

In quanto sottufficiale, lo sciumbasci poteva essere armato anche di pistola (di solito un revolver Camelot-Delevigne mod. 1874) e di sciabola tradizionale (Billao o Shotel) oltre che dell'armamento d'ordinanza.Allo sciumbasci era consentito indossare fuori servizio una mantellina nera (di propria proprietà).Lo sciumbasci portava come simbolo d'autorità il curbasc, un frustino di pelle d'ippopotamo, col quale applicava anche le sanzioni amministrative fisiche alla truppa.
Sono poco note le gesta eroiche di questi uomini: alcuni di loro, tra cui lo Sciumbasci Tonino Lascari in inferiorità numerica, senza munizioni e circondati dagli inglesi impugnarono le loro Shotel e saltarono addosso al comando inglese che stava facendo fuoco sulla loro postazione al grido di "Savoia".


Somalia: La Storia di Scirè


La mattina che ce lo vedemmo davanti non credevamo ai nostri occhi ed alle nostre orecchie :
"Ho saputo che gli italiani sono tornati e voglio riprendere servizio!"
Il Signor Scirè con la divisa da incursore
Queste parole pronunciate con un tono che non ammetteva repliche, erano proferite da un Somalo decisamente anziano, come tutti coloro che hanno combattuto sotto il tricolore.
Sciré di anni ne avrebbe dovuti avere oltre ottanta ma ancora dimostrava una vitalità insospettabile. 
Fu subito "adottato" dagli incursori del Col Moschin, i quali realizzarono per lui una piccola baracca dove l'anziano combattente pose il suo acquartieramento,
avendo cura di farsi portare un venerando fucile Modello 91 dal nipote.
Tutte le mattine si presentava per l'ispezione al Generale Loi, facendo ruotare con insospettabile maestria il fucile per mostrare quanto fosse pulito. Con un altro colpo riportava l'arma alla spalla e se il Generale si dimenticava di dargli il "riposo", lui rimaneva impietrito sul "presentat-arm". 
Nelle cerimonie e alla presenza di autorità con la sua voce profonda proferiva un Viva il Duce, viva il Re, viva l'Italia nonostante gli fosse stato ripetuto più volte che in questo mezzo secolo qualcosa da noi era mutato.
Caro vecchio Sciré; esempio emblematico d'attaccamento all'Italia in un periodo molto difficile per il nostro Paese. 
Gli incursori, al termine di un breve esame e di una prova ginnica (per forza d'età forzatamente ridotta) hanno voluto consegnargli l'ambitissimo distintivo da Incursore e lui è rimasto commosso da questo gesto. 
Lui che cammina ancora scalzo ha visto finalmente ripagato l'attaccamento all'Italia: "Italiani grandi soldati, fare culo così agli Abissini! era solito ripetere.
Grazie Scirè, Soldato italiano abbandonato e dimenticato dalla tua patria.. ma te no, e per ricambiare tu non ci hai mai ne abbandonati e nemmeno dementicati.

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